“Pacenti e il Brunello in nome del nonno Rosildo” di Divina Vitale

Lorenzo Pacenti ha 30 anni, ma una storia familiare che affonda le radici nei suoli argillosi che producono uno dei vini più apprezzati al mondo, il Brunello. Non si è mai distratto più di tanto e ha sempre sentito dentro sé il richiamo dell’azienda di famiglia. Appartiene alla nuova generazione di produttori. Siamo in Val D’Orcia, ai piedi della collina di Montalcino, nell’areale del Canalicchio. Il fondatore è stato Rosildo Pacenti, ma è il figlio Franco Pacenti, padre di Lorenzo, a dare il nome all’azienda che oggi guida assieme alle sorelle.

 

Quando ha capito che l’azienda sarebbe diventata il suo futuro?

L’ho sempre sentito, come se mi fosse stata trasmessa nel dna. Respirando e vivendo la passione di mio nonno e mio babbo, nei lavori in campagna, appena potevo andavo con loro. Crescendo non ho mai avuto dubbi, ho frequentato l’Istituto Agrario “Angelo Vegni” vicino a Cortona, in provincia di Arezzo. Visto la mancanza di una rete di trasporti pubblici efficienti stavo in convitto ed anche se a 14 anni non è stato facile stare lontano da casa, non ho mollato. E’ stata un’esperienza molto formativa. Poi il corso di laurea triennale in Viticoltura ed Enologia alla Facoltà di Firenze, dove ho vissuto per tre anni. Infine il rientro a Montalcino. E’ stato un richiamo forte: c’era bisogno di nuova linfa e conoscenze. Ho capito che sarebbe stato il mio futuro e la mia missione, anche se non è stato per niente facile scalare le gerarchie all’interno dell’azienda.

 

Crescendo in una famiglia di produttori, quali sono i ricordi più belli?

Senza dubbio l’atmosfera che si respirava durante le vendemmie di una volta, con i contadini della zona, parenti ed amici che venivano a darci una mano. La fatica era spesso intervallata da aneddoti curiosi e poi quando andavamo a tavola era una grande festa (le famose “benfinite”). Più che un pranzo sembrava un matrimonio dal ben di Dio che c’era sopra al tavolo: tutte ricette di una volta preparate dalle donne di casa. Per non parlare della vendita diretta che facevamo quando io ero piccolo. Spesso i miei genitori erano fuori a lavoro in campagna e con le mie sorelle stavamo in casa con  mia nonna. Abitavamo tutti insieme nel casale storico, proprio sopra alla cantina e quando i turisti suonavano il campanello per degustare i vini scendeva mia nonna, spesso in ciabatte e con il grembiule. Non spiccicava una parola di inglese. La cosa sorprendente è che in qualche modo riusciva sempre a farsi capire e la genuinità di una volta era ripagata con gli acquisti. In tanti l’hanno fotografata.

 

E gli insegnamenti che porta sempre con sé?

L’umiltà. Oggi, pur vivendo in condizioni molto più agiate di un tempo, vivo con i piedi ben saldi a terra tenendo sempre presente da dove siamo partiti e tutti i sacrifici che sono stati fatti per arrivare fin qui.

 

Lei è giovanissimo e fa parte della nuova generazione di produttori montalcinesi. Come abbraccia questa nuova dimensione?

Sono consapevole di quello che di buono sta facendo la mia generazione per Montalcino e sono molto orgoglioso di farne parte. Rispetto alle generazioni precedenti ci sentiamo tutti dei privilegiati, ma siamo consapevoli che abbiamo ancora tanta strada davanti e vogliamo portare il nostro territorio e la nostra denominazione ancora più in alto. Proprio per questo c’è molta meno invidia di prima, anzi ci confrontiamo e ci scambiamo molte opinioni per crescere tutti insieme. Inoltre la maggior parte di noi ha una formazione tecnica adeguata e penso che l’innalzamento qualitativo dei vini di Montalcino, che si nota negli ultimi anni, sia per la maggior parte da imputare a quello che di buono stiamo facendo.

 

Tecnicamente cosa cerca in un vino?

Pulizia, equilibrio e piacevolezza.

 

E cosa vuole tirare fuori dal suo?

Sicuramente il terroir. Vinificando Sangiovese in purezza, vitigno che si plasma molto in base alle caratteristiche pedoclimatiche in cui cresce. I vigneti sono accorpati in un’unica zona e voglio che  questo si riscontri nei nostri vini. La zona in questione è l’areale del “Canalicchio”, nel versante nord-est di Montalcino ad un’altitudine di circa 300 metri s.l.m. con terreni di matrice argillosa, che dnno vini molto eleganti, anche nelle annate sempre più calde degli ultimi tempi dove acquistano più  potenza ma senza perdere di bevibilità.

 

Siamo in un momento molto particolare. Cosa serve e in cosa ci si deve maggiormente impegnare?

Sarà fondamentale fare squadra e sicuramente anche l’apporto digitale, che nel nostro settore era rimasto un po’ marginale, diventerà un supporto fondamentale per accorciare le distanze ed i tempi. Poi l’identità è il nostro valore aggiunto e potrebbe essere l’occasione per fortificarla, facendo entrare nel vivo del nostro lavoro quotidiano ancora più persone.

 

La vostra è una storia importante, come vive tutta questa longevità?

Con tanto orgoglio e consapevolezza di quello che siamo, ma soprattutto di quello che eravamo quando Montalcino era solo una piccola realtà agricola. È fondamentale non sentirsi mai arrivati e cercare sempre nuovi stimoli per crescere e migliorarsi, anche perché la concorrenza è sempre maggiore. I grandi investitori stranieri, per esempio, hanno possibilità economiche pressoché illimitate, molti vedono Montalcino solo come business. Noi, a differenza, qui abbiamo le nostre radici.

 

È appena uscito anche il vostro nuovo vino, dedicato proprio al nonno?

Si, mio nonno Rosildo è sempre stato il mio punto di riferimento, avevamo un legame speciale. Purtroppo è venuto a mancare quando avevo solo 19 anni, ma spesso mi torna in mente e sono sicuro che da lassù ci osserva con il suo bel sorriso e le guance rosse “avvinazzate”. Sarebbe fiero di tutto l’impegno e l’entusiasmo che noi nipoti mettiamo nel portare avanti il suo sogno.

 

Progetti futuri?

Negli ultimi anni abbiamo investito molto sulla produzione, per raggiungere un livello sempre più alto, sia in vigna (impianto nuovi vigneti, consulente agronomo esterno Donato Bagnulo ed installazione stazione meteo) sia in cantina (costruzione nuova cantina ed investimento sui legni). Vogliamo puntare sulla comunicazione e sulla wine hospitality per far toccare con mano la nostra realtà, vivendo delle vere e proprie esperienze e non semplici degustazioni. Avevamo in programma dei pacchetti da fare all’aperto adatti anche a famiglie come pic-nic e cooking class. Ma il vero sogno nel cassetto sarebbe quello di collegare la nuova cantina a quella storica con un tunnel sotterraneo: all’interno uno spazio dedicato alla collezione delle vecchie annate.  E ristrutturare il vecchio casale realizzando un ristorante, dove la mia gemella Serena potrebbe dilettarsi nella rivisitazione contemporanea delle ricette contadine toscane, vista la sua grande passione per la cucina e gli studi effettuati all’alberghiero “Pellegrino Artusi” di Chianciano.

 

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